Iscrizione a ruolo a seguito di ricorso

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Con il presente articolo sarà trattato il delicato problema dell’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio delle maggiori imposte accertate a seguito di accertamento, avverso il quale è stato presentato ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale.

Con la notifica dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, al contribuente si presentano diverse possibilità: la prima è quella di accettare pedissequamente l’atto di accertamento usufruendo, tuttavia, della possibilità di definizione agevolata dello stesso, attraverso il pagamento (entro 60 giorni dalla notifica dell’atto di accertamento) delle maggiori imposte “accertate”, oltre gli interessi e le sanzioni ridotte ad un quarto (in questo consiste l’agevolazione); la seconda è quella di avvalersi dell’istituto dell’accertamento con adesione, qualora l’atto non sia stato proceduto dall’invito a comparire formulato dallo stesso ufficio accertatore. In questi casi, il contribuente avrà a disposizione ulteriori 90 giorni per rappresentare e documentare le proprie ragioni e, conseguentemente, pervenire ad un accordo transattivo con l’Agenzia delle Entrate, usufruendo, anche in questo caso, della riduzione delle sanzioni nella misura del 25% delle maggiori imposte “definite” durante la fase del contraddittorio; la terza possibilità è quella di procedere, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto di accertamento, alla definizione agevolata delle sole sanzioni, calcolate in misura corrispondente ad un quarto delle maggiori imposte “accertate”, ed alla presentazione, sempre entro lo stesso termine di 60 giorni, del ricorso alla competente Commissione Tributaria Provinciale; la quarta possibilità è quella di presentare direttamente il ricorso alla competente Commissione Tributaria Provinciale, senza effettuare alcun versamento, rimettendosi così al giudizio di tale organo,  assumendosi però tutti gli oneri del contenzioso e quindi anche il rischio di dover pagare, in caso di soccombenza, gli importi richiesti, maggiorati di ulteriori sanzioni ed interessi maturati e maturandi, nonché eventuali spese processuali in caso di mancata compensazione delle spese.

In caso di presentazione del ricorso, il contribuente ha l’obbligo di procedere, entro il termine di 60 giorni dalla notifica dell’atto di accertamento, al pagamento  delle maggiori imposte accertate ed i relativi interessi moratori, nella misura di un terzo. In caso di mancato pagamento di tali somme, l’Agenzia delle Entrate nelle avvertenze dell’atto di accertamento, indica che procederà alla riscossione delle imposte dovute mediante iscrizione a ruolo, unitamente ai relativi interessi maturati e maturandi, oltre alla sanzione pecuniaria pari al 30 per cento delle imposte non versate, per effetto di quanto previsto dall’art. 13, comma 2, del D.Lgs. n. 471 del 1997.

Succede così che a distanza di pochi mesi dalla presentazione del ricorso avverso l’atto di accertamento, al contribuente, che non procede al pagamento di un terzo delle maggiori imposte accertate e dei relativi interessi moratori, sarà notificata, da parte dell’Agente della Riscossione, la cartella di pagamento contenente l’iscrizione a ruolo delle maggiori imposte accertate, nonché dei relativi interessi (con esclusione quindi delle sanzioni), per la metà dell’ammontare corrispondente agli imponibili o maggiori imponibili accertati. Questo è il caso tipico di iscrizione nel ruolo cosiddetto “ordinario”, esistendo pure l’iscrizione nei ruoli “straordinari” che sono formati quando vi è fondato pericolo per la riscossione, con la conseguenza che le imposte, gli interessi e le sanzioni (comprese quindi le sanzioni) sono iscritti per l’intero importo risultante dall’avviso di accertamento, anche se non definitivo.

Queste sono appunto le richieste formulate dall’Agenzia delle Entrate in ipotesi di presentazione del ricorso avverso l’atto di accertamento, in caso di mancato pagamento di un terzo delle maggiori imposte accertate e dei relativi interessi moratori. Tali richieste vengono effettuate dall’Ufficio finanziario ai sensi dell’art. 15 del DPR 602/1973 in caso di ruolo “ordinario”, e degli artt. 11, comma 3, e 15-bis del DPR 602/1973 in caso di ruolo “straordinario”.

Ma queste norme, secondo una corrente di pensiero, sembrerebbero contrastare con quanto previsto dall’art. 68, comma 1, del D. Lgs. 546/1992.

Quest’ultima disposizione, rubricata “Pagamento del tributo in pendenza del processo” stabilisce infatti che << del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con  i relativi  interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato per i due terzi, dopo la sentenza  della  commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso>>.

Detto articolo stabilisce, pertanto, che può essere iscritto a ruolo il tributo dovuto, con i relativi interessi, (con esclusione quindi delle sanzioni), per i due terzi solo dopo la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale che respinge il ricorso e ciò anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d’imposta.

Ai sensi dell’art. 12 delle preleggi del codice civile, per l’interpretazione letterale del succitato articolo 68 del D.Lgs 546/1992, a cui ci si deve attenere, il disposto suddetto – secondo il quale le norme di detto articolo si applicano anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d’imposta – sta a significare che l’articolo in esame (articolo 68 D.Lgs. 546/1992) trova applicazione anche ove le singole leggi dispongano diversamente, poiché questo è il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse.

Conseguentemente, sostengono gli autori di tale tesi, poiché il tributo ai sensi dell’art. 68 succitato deve essere pagato dopo la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, nulla può essere richiesto dall’ufficio prima di detta decisione; pertanto, secondo tale tesi, l’iscrizione a ruolo “ordinario” (ex art. 15 DPR 602/73) o “straordinario” (ex artt. 11, comma 3, e 15-bis DPR 602/73) e l’emissione della relativa cartella sono illegittime contrastando con tale art. 68.

Qualora invece non si facesse valere il principio sancito da quest’ultima norma, il contribuente si troverebbe ad essere esposto ad un’ obbligazione tributaria provvisoriamente esecutiva prima ancora che il giudice della Commissione Tributaria Provinciale possa essersi espresso in merito alla legittimità ed alla fondatezza dell’accertamento da cui deriva la stessa iscrizione a ruolo. E’ stato pertanto ritenuto, anche e soprattutto a garanzia del rispetto del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, che l’unica norma  applicabile nel caso di specie sia rappresentata dall’art.  68 del  D.Lgs.  546/1992. Detta norma, nella  misura in cui delinea un sistema di pagamento progressivo delle imposte in presenza di giudizio, è l’unica in grado di garantire che il contribuente proceda ad un graduale pagamento delle imposte dovute fino a quando l’accertamento non diviene definitivo ed è, pertanto, l’unica norma in grado di salvaguardare il contribuente da obbligazioni tributarie che non abbiano ricevuto un primo vaglio critico del giudice preposto (CTP Roma n. 329/2009).

Sappiamo bene, ed è doveroso riferirlo, che a questa tesi si contrappone quella dell’Agenzia delle Entrate e di parte della giurisprudenza, secondo la quale l’art. 68 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, regola la riscossione frazionata del tributo nella pendenza del processo tributario, mentre l’art. 15 del DPR 602/1973 concerne, nell’ambito della disciplina dell’iscrizione nei ruoli in base ad accertamenti non definitivi, la riscossione del tributo nella fase amministrativa.

In aggiunta alle superiori argomentazioni, si potrebbe aggiungere, sulla base di un ulteriore riflessione, che la riscossione provvisoria in pendenza del giudizio potrebbe essere considerata ingiusta in quanto esporrebbe il contribuente a un’anticipazione finanziaria, con conseguenze pregiudizievoli, prima ancora che la controversia sia decisa, violando in tal modo il principio della tutela giurisdizionale piena ed incondizionata (art. 113 della Costituzione) e di effettività del diritto di difesa (art. 24 Costituzione).

Tale considerazione scaturisce anche dal tenore letterale dell’art. 25 del DPR 602/1973 che nell’elencare i termini entro i quali deve essere notificata la cartella di pagamento, non dice nulla con riferimento alla fattispecie che ci occupa, relativa alla iscrizione a ruolo in pendenza di giudizio, limitandosi a prevedere alla lettera c) del primo comma dell’art. 25 che la cartella di pagamento deve essere notificata entro il 31 dicembre “del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio”.

Pertanto, per le iscrizioni a ruolo in pendenza di giudizio non è previsto un termine a pena di decadenza entro il quale notificare la cartella di pagamento. Si ritiene che non sia possibile, per come già stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 15.7.2005 n. 280, perché così facendo il contribuente sarebbe assoggettato all’azione esecutiva del Fisco per un tempo indeterminato e comunque, se corrispondente a quello ordinario di prescrizione, certamente eccessivo e irragionevole. Irragionevolezza che discende dal peculiare trattamento che verrebbe riservato, con la soggezione al termine prescrizionale ordinario, proprio all’ipotesi nella quale l’Amministrazione (lato sensu intesa), sempre soggetta a rigorosi termini di decadenza per attività ben più complesse, è chiamata a compiere una elementare operazione di verifica (non a caso definita dalla legge meramente) formale.

Infine, vorrei dedicare due parole all’iscrizione nei ruoli straordinari, sempre in presenza di ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, che l’Agenzia delle Entrate effettua quando ritiene che vi sia fondato pericolo per la riscossione. In tali casi, come abbiamo detto, le imposte, gli interessi e le sanzioni sono iscritte per l’intero importo risultante dall’avviso di accertamento, anche se non definitivo.

Si richiama al riguardo il fatto che la cartella di pagamento, quale atto amministrativo, deve essere motivata e la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Agenzia delle Entrate, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.

Nei casi di iscrizione nei ruoli “straordinari” l’obbligo della motivazione non può essere ritenuto assolto con la semplice indicazione nelle “note relative alla descrizione” dei riferimenti normativi in base ai quali viene effettuata l’iscrizione nei ruoli straordinari, e precisamente artt. 11, comma 3, e 15-bis del DPR 602/1973.

A mio avviso, tutto ciò non è sufficiente a motivare l’iscrizione nei ruoli straordinari, perché così facendo l’Agenzia delle Entrate non giustifica in base a quali elementi, di fatto e di diritto, ritiene fondato il pericolo di non poter riscuotere la somma.

La funzione della motivazione di un atto amministrativo è quella di garantire e tutelare “il pieno esercizio del diritto di difesa” del destinatario, del contribuente nella fattispecie, con la conseguenza che la stessa deve chiaramente individuare le ragioni che hanno spinto l’Amministrazione Finanziaria, a emettere l’atto e delimitare quella che potrebbe essere, in una prospettiva processuale, la materia del contendere.

Calando, ora, questi principi nella fattispecie in esame, si ritiene che l’Agenzia delle Entrate, deve indicare le ragioni che giustificano l’iscrizione nei ruoli straordinari, fornendo, anche in corso di processo, gli elementi in base ai quali ha ritenuto che vi fosse fondato pericolo per la riscossione. In buona sostanza, l’Agenzia delle Entrate ha l’obbligo di esporre, e dimostrare, le ragioni della sussistenza del periculum in mora idonee a giustificare l’immediata richiesta di pagamento delle intere somme accertate, adducendo fatti e comportamenti concreti (quali ad esempio dismissioni patrimoniali, iscrizione di ipoteche sui beni della società da parte di altri creditori, e simili) idonei a prospettare l’effettiva perdita di garanzia nella realizzazione della pretesa fiscale, valutando pertanto la loro significatività rispetto all’ammontare dell’eventuale credito erariale. Il fondato pericolo per la riscossione, essendo quindi dato oggettivo, deve essere comprovato dal rapporto tra patrimonio residuo del contribuente debitore ed eventuale credito erariale.

L’obbligo di motivare la sussistenza del fondato pericolo per la riscossione ha una sua logica nel principio di ordine generale, in base al quale la cartella stessa deve essere motivata e contenere la causale della pretesa tributaria, essendo necessario che sia il contribuente ai fini del suo diritto di difesa, sia il Giudice ai fini di giustizia, possano riscontrare la sussistenza del “fondato pericolo per la riscossione” richiamato dall’art. 11 del DPR 602/1973, con la conseguenza che la cartella di pagamento, qualora fosse priva di tale motivazione, potrebbe rendere illegittima l’iscrizione a ruolo per violazione dell’art. 3 della L. 241/1990 espressamente recepito dall’art. 7 della L. 212/2000, direttamente applicabili alla fase di riscossione di ogni tributo.

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