
Timothy Gallwey, autore di pubblicazioni in materia di empowerment in campo lavorativo e sportivo, propone una semplice ed efficace formula per definire la performance:
P = p – i
Performance = potenziale – interferenze
Quantificare il potenziale di un individuo è un’operazione piuttosto ardua. Un’intera vita potrebbe non bastare per coltivare, esplorare ed esprimere appieno il proprio potenziale.
Un modo per prendere qualche misura, sebbene approssimativa, è quello di identificare e rimuovere i fattori che ne impediscono la piena manifestazione, denominati dall’autore “interferenze”.
Le interferenze possono essere suddivise in due macro-categorie:
- Interferenze interne: nascono e si sviluppano al nostro interno.
- Interferenze esterne: derivano dall’ambiente circostante.
Ogni performance insoddisfacente si accompagna a specifiche interferenze, interne e/o esterne.
Tra le interferenze interne, a titolo di esemplificazione, possiamo annoverare:
- Timore del fallimento;
- Timore del giudizio;
- Carenza di autostima;
- Carenza di concentrazione;
- Carenza di autodisciplina;
- Incongruenza;
- Mancanza di autocontrollo emotivo;
- Timidezza;
- Carenza di skills sociali.
O anche:
- Convinzione di essere perfetti così come si è (se siamo perfetti, perché migliorare?);
- Convinzione di essere dalla parte della ragione (potrebbe non essere così…);
- Convinzione di essere superiori agli altri (l’anticamera della superbia).
Tra le interferenze esterne possiamo annoverare:
- Mancanza di risorse economiche adeguate per lo sviluppo del/i progetto/i;
- Mancanza di sostegno da parte di: collaboratori/capo/top management;
- Condizioni economiche avverse;
- Problemi famigliari;
- Normative penalizzanti.
Mentre le interferenze interne sono in nostro controllo, le interferenze esterne pongono maggiori grattacapi. Nella stragrande maggioranza dei casi abbiamo esclusivamente due possibilità: possiamo influenzarle e/o controllare la nostra reazione a queste.
Tuttavia, pensare che la gestione delle prime sia più semplice di quella delle seconde, potrebbe metterci fuori strada. La nostra intera vita lavorativa può essere infatti condizionata da interferenze interne di cui non siamo consapevoli.
Ad esempio, un lavoratore molto competente e produttivo, ma non aduso al “gioco di squadra”, potrebbe ritrovarsi spiazzato e furente nell’essere sopravanzato gerarchicamente da un altro lavoratore – magari meno competente e produttivo – con social skills e doti di leadership più avanzate.
Un suggerimento per effettuare un’analisi maggiormente accurata delle proprie interferenze interne è quello di richiedere feedback alle persone che ci stanno attorno: conoscenti, amici, famigliari, colleghi, capo, top management, clienti, consulenti, ecc.
Il celebre detto di Jean-Paul Sartre “L’inferno sono gli altri” sta ad indicare una – talvolta dolorosa – verità: spesso gli altri hanno una visione più accurata e lucida di ciò che siamo e/o esprimiamo all’esterno.
Ricevere un feedback sincero presenta a sua volta delle difficoltà: troveremo verosimilmente persone che non hanno il coraggio o l’interesse a renderci edotti circa le nostre eventuali “interferenze”. A questo proposito, possiamo effettuare domande di approfondimento, senza mettere apertamente in discussione le affermazioni del nostro interlocutore.
Esempio
Un collaboratore chiede un feedback al proprio responsabile circa le sue capacità come teamworker:
A: Sei soddisfatto di come lavoro in team?
B: Sì, stai andando bene.
A: Cos’altro posso fare per migliorare?
La risposta a quest’ultima domanda potrebbe contenere indicazioni molto utili per migliorare nella propria attività, mettendo altresì in risalto eventuali interferenze interne.
Un utile esercizio da effettuare – in relazione ai nostri obiettivi e alle nostre performance – è quello di stilare una lista accurata delle interferenze interne ed esterne, a cui far seguire un piano programmatico volto a gestirle e – ove possibile – rimuoverle.
Daniel Goleman, nel suo libro Lavorare con intelligenza emotiva (BUR, 2009), esprime una riflessione interessante a proposito dell’autovalutazione: “Fra diverse centinaia di manager provenienti da dodici diverse organizzazioni, la capacità di autovalutarsi in modo accurato era un segno distintivo della prestazione superiore, e mancava negli individui mediocri. In altre parole, non è che le capacità di chi eccelle siano senza limiti; la differenza sta nel fatto che costoro sono consapevoli di quei limiti, e pertanto sanno dove migliorare o quando lavorare con qualcuno che abbia le capacità di cui loro sono carenti”.
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